Comunque la si pensa, le low costs “abituano” il cliente a considerare il viaggiare come un fatto semplice, alla portata, da poter rifare più volte nell’anno. Il rovescio della medaglia sta sicuramente nel fatto che il puntare tutto sul prezzo e utilizzare lo strumento dell’advertising, riempiendo la città di manifesti che raccontano che si può volare per nove euro, ha in ogni caso degli effetti negativi in termini di aspettative presso la clientela.
Come esperti del settore, però, vogliano ridimensionare un altro aspetto del “caso low cost”, che da più parti viene invece messo in risalto e portato ad esempio: le low costs non costituiscono un case history di pura eccellenza.
Con questo, non è che qui vogliamo sottolineare a tutti i costi solo gli aspetti negativi del caso; semplicemente, come agenti di viaggio, ci poniamo l’obiettivo di focalizzare un fenomeno nella sua reale portata. Specie in un momento in cui il low cost, così come l’e-commerce, presso la stampa è diventato un argomento sacro, inviolabile, di sicuro successo.
Non si è riflettuto abbastanza, infatti, sul fatto che una parte della competitività delle low costs - e quindi del loro conseguente successo – deriva direttamente dall’intervento degli aeroporti, o meglio della “moderna” impresa aeroportuale che non mette solo a disposizione il suo aeroporto, ma si pone quale obiettivo il lancio a tutti i costi del proprio scalo, attraverso un corteggiamento serrato alle aerolinee a basso costo.
A confortare questa tesi, ci viene in soccorso un interessante articolo pubblicato recentemente su “Panorama Economy” dal titolo significativo “Facciamoci una pista” (http://www.confindustria.assotravel.it/images/stories/icons/panorama%20economy.jpg), in cui si sottolinea il proliferare in Italia dei nuovi piccoli aeroporti (animosi destinatari delle compagnie low cost) e le manie di protagonismo di alcuni amministratori e degli enti locali “che si sforzano di dare alla propria collettività lo status «metropolitano»”, incuranti del fatto che ci vogliono milioni di euro per avere poi poche migliaia di passeggeri.
A pagare indirettamente per questi nuovi progetti che rischiano di trasformarsi in una spirale di costi senza ritorni è ancora una volta il consumatore: “le società di gestione sono pubbliche e i lavori li paga Roma o, ancora meglio Bruxelles”[1]. Ecco allora che si scatena la competizione tra città limitrofe, ugualmente ambiziose, e dopo l’inaugurazione, il 30 aprile, del nuovo scalo di Comiso, Ancona è contro Pescara, Bari in lizza con Brindisi, Foggia e Taranto, e c’è chi vuole costruire scali a Lipari, Agrigento, Pisticci…
Il proliferare dei nuovi piccoli scali, come abbiamo detto, facilita le compagnie low cost, destinatarie delle amorose attenzioni delle società aeroportuali.
Antonio Bordoni, uno dei massimi esperti di trasporto aereo civile (già autore del volume “Fasti e declino dell’industria aerea commerciale” e “Alitalia gli anni dell’oblio”) nel nuovo lavoro giornalistico “Dagli Imperi dei Cieli agli Imperi degli Scali ci propone un quadro molto chiaro dell'evoluzione avvenuta. Ovvero come si è passati dal "fly with airline X" al "fly with airport Y"”, pubblicato per Travel Factory Srl (è possibile comprare il libro sul sito della casa editrice http://www.travelfactory.it/: pp.376, prezzo 28 euro) ripercorre le vicissitudini che hanno segnato il crollo dell’impero delle compagnie aeree, con la contemporanea nascita e l’espandersi del nuovo impero degli scali aeroportuali, scoprendo i retroscena degli enormi interessi economici che gravitano intorno a quello che una volta era semplicemente l’aerodromo…
“Il ruolo passivo degli aeroporti è divenuto attivo. Anche essi – alla pari delle aerolinee – si sono messi alla ricerca di passeggeri, ma non potevano ottenere successo alcuno su questo specifico fronte se una o più aerolinee non avessero accettato di scendere sul loro scalo. Avendo impostato in tal modo la deregulation dell’aviazione civile, è accaduto di tutto, fino ad arrivare allo “scandalo” dei sussidi, degli incentivi dati dagli aeroporti alle aerolinee, pur di vedere aperti i collegamenti sui propri scali. Qualche aeroporto che era rimasto tagliato fuori, si è spinto a creare aerolinee virtuali, se questo rappresentava l’unico modo per vedere scendere sulle sue piste gli aerei”[2].
Partendo da questo scenario l’autore si spinge ad analizzare episodi concreti di pacchetti finanziari costruiti ad hoc per le aerolinee a basso costo e analizza il caso emblematico di Charleroi.
La Commissione Europea in quella occasione puntò la sua attenzione sullo scalo di Charleroi esprimendo dubbi sulla natura delle misure adottate dalla Regione Vallonia e dallo scalo di Bruxelles Sud in favore della Ryanair; la tesi che si voleva vagliare era se queste misure potessero rappresentare un aiuto di Stato. La UE affermò che quando la compagnia di O’Leary fissò la sua base su questo aeroporto, a 46 kilometri da Bruxelles e controllato dalle autorità regionali, il vettore ottenne landing e handling fees scontate, mezzi di trasporto per gli equipaggi, e inoltre un sostanziale contributo per l’attività di marketing. La commissione inoltre volle appurare se l’aiuto dato da un’autorità locale ad un aeroporto distorcesse la concorrenza tra aeroporti.
Al di là di come si è concluso il contestato accordo, ciò che qui preme sottolineare, è, come più volte ribadito, l’ aspetto delle facilitazioni concesse alle compagnie low cost e come negli ultimi anni tali vettori abbiamo guadagnato una fetta consistente del mercato a scapito delle compagnie di bandiera nazionali, soprattutto grazie ai significativi risparmi di costo – in primis, quelli aeroportuali - che consentono a queste compagnie di praticare strategie di prezzo estremamente aggressive.
Interessante è infine un’altra sollecitazione che ci fornisce il libro di Bordoni: “Le compagnie a basso costo poi avevano dimostrato che anche laddove si riteneva che il traffico fosse carente, in realtà i collegamenti low cost potevano generarlo. Questa “scoperta” da sola bastava a rivoluzionare i principi marketing dell’industria aerea”. E già, perché l’avvento delle low cost non ha solo aumentato il traffico aereo, ma ha finito per stravolgere anche i principi del destination marketing, dal momento che anche una località meno appetibile turisticamente può ambire con uno scalo low cost al suo consistente numero di visitatori.
[1] La frase è tratta dall’articolo succitato, pubblicato da “Panorama Economy”
[2] Il periodo in corsivo riprende le parole di Bordoni
Come esperti del settore, però, vogliano ridimensionare un altro aspetto del “caso low cost”, che da più parti viene invece messo in risalto e portato ad esempio: le low costs non costituiscono un case history di pura eccellenza.
Con questo, non è che qui vogliamo sottolineare a tutti i costi solo gli aspetti negativi del caso; semplicemente, come agenti di viaggio, ci poniamo l’obiettivo di focalizzare un fenomeno nella sua reale portata. Specie in un momento in cui il low cost, così come l’e-commerce, presso la stampa è diventato un argomento sacro, inviolabile, di sicuro successo.
Non si è riflettuto abbastanza, infatti, sul fatto che una parte della competitività delle low costs - e quindi del loro conseguente successo – deriva direttamente dall’intervento degli aeroporti, o meglio della “moderna” impresa aeroportuale che non mette solo a disposizione il suo aeroporto, ma si pone quale obiettivo il lancio a tutti i costi del proprio scalo, attraverso un corteggiamento serrato alle aerolinee a basso costo.
A confortare questa tesi, ci viene in soccorso un interessante articolo pubblicato recentemente su “Panorama Economy” dal titolo significativo “Facciamoci una pista” (http://www.confindustria.assotravel.it/images/stories/icons/panorama%20economy.jpg), in cui si sottolinea il proliferare in Italia dei nuovi piccoli aeroporti (animosi destinatari delle compagnie low cost) e le manie di protagonismo di alcuni amministratori e degli enti locali “che si sforzano di dare alla propria collettività lo status «metropolitano»”, incuranti del fatto che ci vogliono milioni di euro per avere poi poche migliaia di passeggeri.
A pagare indirettamente per questi nuovi progetti che rischiano di trasformarsi in una spirale di costi senza ritorni è ancora una volta il consumatore: “le società di gestione sono pubbliche e i lavori li paga Roma o, ancora meglio Bruxelles”[1]. Ecco allora che si scatena la competizione tra città limitrofe, ugualmente ambiziose, e dopo l’inaugurazione, il 30 aprile, del nuovo scalo di Comiso, Ancona è contro Pescara, Bari in lizza con Brindisi, Foggia e Taranto, e c’è chi vuole costruire scali a Lipari, Agrigento, Pisticci…
Il proliferare dei nuovi piccoli scali, come abbiamo detto, facilita le compagnie low cost, destinatarie delle amorose attenzioni delle società aeroportuali.
Antonio Bordoni, uno dei massimi esperti di trasporto aereo civile (già autore del volume “Fasti e declino dell’industria aerea commerciale” e “Alitalia gli anni dell’oblio”) nel nuovo lavoro giornalistico “Dagli Imperi dei Cieli agli Imperi degli Scali ci propone un quadro molto chiaro dell'evoluzione avvenuta. Ovvero come si è passati dal "fly with airline X" al "fly with airport Y"”, pubblicato per Travel Factory Srl (è possibile comprare il libro sul sito della casa editrice http://www.travelfactory.it/: pp.376, prezzo 28 euro) ripercorre le vicissitudini che hanno segnato il crollo dell’impero delle compagnie aeree, con la contemporanea nascita e l’espandersi del nuovo impero degli scali aeroportuali, scoprendo i retroscena degli enormi interessi economici che gravitano intorno a quello che una volta era semplicemente l’aerodromo…
“Il ruolo passivo degli aeroporti è divenuto attivo. Anche essi – alla pari delle aerolinee – si sono messi alla ricerca di passeggeri, ma non potevano ottenere successo alcuno su questo specifico fronte se una o più aerolinee non avessero accettato di scendere sul loro scalo. Avendo impostato in tal modo la deregulation dell’aviazione civile, è accaduto di tutto, fino ad arrivare allo “scandalo” dei sussidi, degli incentivi dati dagli aeroporti alle aerolinee, pur di vedere aperti i collegamenti sui propri scali. Qualche aeroporto che era rimasto tagliato fuori, si è spinto a creare aerolinee virtuali, se questo rappresentava l’unico modo per vedere scendere sulle sue piste gli aerei”[2].
Partendo da questo scenario l’autore si spinge ad analizzare episodi concreti di pacchetti finanziari costruiti ad hoc per le aerolinee a basso costo e analizza il caso emblematico di Charleroi.
La Commissione Europea in quella occasione puntò la sua attenzione sullo scalo di Charleroi esprimendo dubbi sulla natura delle misure adottate dalla Regione Vallonia e dallo scalo di Bruxelles Sud in favore della Ryanair; la tesi che si voleva vagliare era se queste misure potessero rappresentare un aiuto di Stato. La UE affermò che quando la compagnia di O’Leary fissò la sua base su questo aeroporto, a 46 kilometri da Bruxelles e controllato dalle autorità regionali, il vettore ottenne landing e handling fees scontate, mezzi di trasporto per gli equipaggi, e inoltre un sostanziale contributo per l’attività di marketing. La commissione inoltre volle appurare se l’aiuto dato da un’autorità locale ad un aeroporto distorcesse la concorrenza tra aeroporti.
Al di là di come si è concluso il contestato accordo, ciò che qui preme sottolineare, è, come più volte ribadito, l’ aspetto delle facilitazioni concesse alle compagnie low cost e come negli ultimi anni tali vettori abbiamo guadagnato una fetta consistente del mercato a scapito delle compagnie di bandiera nazionali, soprattutto grazie ai significativi risparmi di costo – in primis, quelli aeroportuali - che consentono a queste compagnie di praticare strategie di prezzo estremamente aggressive.
Interessante è infine un’altra sollecitazione che ci fornisce il libro di Bordoni: “Le compagnie a basso costo poi avevano dimostrato che anche laddove si riteneva che il traffico fosse carente, in realtà i collegamenti low cost potevano generarlo. Questa “scoperta” da sola bastava a rivoluzionare i principi marketing dell’industria aerea”. E già, perché l’avvento delle low cost non ha solo aumentato il traffico aereo, ma ha finito per stravolgere anche i principi del destination marketing, dal momento che anche una località meno appetibile turisticamente può ambire con uno scalo low cost al suo consistente numero di visitatori.
[1] La frase è tratta dall’articolo succitato, pubblicato da “Panorama Economy”
[2] Il periodo in corsivo riprende le parole di Bordoni
1 commento:
Ho letto con interesse il "pezzo" sugli aeroporti dove viene citato il libro/dossier scritto da Antonio Bordoni.
Gli agenti di viaggi, non tutti, soltanto adesso sembrano svegliarsi dall'atavico torpore e cominciano ad attuare criteri di management nella gestione delle loro imprese; criteri cioè basati sui costi e ricavi con l'intento, più che legittimo, di chiudere i bilanci in attivo.
Purtroppo i tempi delle commissions e delle over-commissions, sono finiti ed è probabile che non tornerranno, c'è però da dire che "se Atene piange Sparta Non ride" e i vettori aerei, ma anche altri fornitori di servizi, stanno pagando lo scotto di decisioni che non si sono rivelate "azzeccate" e quindi il settore deve attendersi, a breve, un'altra piccola "rivoluzione.
Gli Aeroporti/Shopping Center stanno dando un'indicazione, falsata però dalla posizione dominante che riguarda i maggiori, un'altra indicazione proviene dal web che, per il nostro settore, in Italia, è ancora poco più che uno sconosciuto, fa senso infatti vedere pressochè abbandonati e con Page-rank tra 2 e 4 i siti di alcuni tra i maggiori tour operators nazionali.
Il discorso è in sostanza sempre quello: "non riuscire ad essere veramente protagonisti nel proprio lavoro".
Grazie per l'ospitalità.
Ivano Camponeschi
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