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martedì 24 novembre 2009

Internet: da manna a mannaia?

Stefano Landi colpisce ancora!
Dal convegno di lunedì sul Web Marketing all'Università di Tor Vergata, ecco il suo intervento per intero di cui qui pubblichiamo solo alcuni passaggi particolarmente significativi. Un'acuta riflessione sulle distorsioni che i canali distributivi on line portano al sistema industriale di vendita e come esse siano anche per le strutture ricettive controproducenti in termini assoluti.


Cosa sappiamo del turismo on line? Prime riflessioni sui dati divulgati alla Borsa del Turismo on line di Firenze

I dati turistici del 2009 che si va ingloriosamente concludendo – almeno stando ai valori medi nazionali, che come noto sommano capre e cavoli - stimolano una riflessione più profonda che non l’osservazione delle percentuali: se cioè non sia in atto un mutamento strutturale del mercato (di durata dei periodi, di prossimità del raggio, di canale distributivo, ecc.), e se le difficoltà imprenditoriali non derivino almeno in parte dalla incapacità, speriamo temporanea, ad adeguarvisi.

1. Andando con ordine, il primo fattore di cambiamento che si evidenzia pressoché ovunque in Italia, e soprattutto in quel fondamentale segmento che è il mercato interno, è la marcata disintermediazione (meno turisti che comprano da Agenzie di Viaggi e Tour Operator, menoesercizi ricettivi che si affidano almeno in parte allo stesso canale), fatto che rende gli arrivi turistici sempre meno prevedibili, certi, programmabili, “budgettabili”. E che rende i periodi di soggiorno sempre più brevi, dato che come noto:

  • i Tour Operator vendono essenzialmente moduli composti da settimane, e lo fanno con il massimo anticipo possibile, anche mediante le varie formule che tendono ad incentivare l’advance booking;
  • anche le Agenzie di Viaggi, per la loro attitudine operativa, faticano a fronteggiare richieste di piccoli gruppi per piccoli periodi, ad elevato grado di flessibilità, e magari con un preavviso minimo rispetto alla partenza. Più spesso, dicono di non avere disponibilità o trovano una scusa qualunque. D’altra parte il lavoro e quindi il tempo e quindi il costo necessario a concludere positivamente un contratto di questo tipo rischiano di essere eccessivi ed improponibili al cliente, rispetto al mero costo dei servizi offerti;
  • mentre i turisti fai-da-te, quando non vanno in case (di proprietà, in affitto, di amici o parenti) consumano soprattutto microvacanze (1-3 notti), e decidono il più tardi possibile, magari solo dopo aver guardato il cielo.

Allora l’equazione, drasticamente confermata dai dati del 2009, sembrerebbe essere questa: le imprese ricettive si affidano sempre meno all’intermediazione organizzata (magari percepita come esosa e parassitaria), ma per converso spuntano una sempre meno soddisfacente saturazione della capacità ricettiva, e certamente affrontano una programmabilità del loro lavoro in evidente calo. Magari guadagneranno di più per ogni singolo cliente, ma fino all’ultimo non sapranno mai quanti clienti hanno “in casa”.

2. Il secondo elemento di novità sta nella minore capacità degli operatori turistici di formulare previsioni attendibili, anche in relazione alla avvenuta disintermediazione, come dimostrato dal confronto tra quanto dichiarano ex ante, e quanto invece constatano poco dopo, come ampiamente dimostrato dalle rilevazioni congiunturali condotte da ISNART.

Nelle indagini congiunturali basate sulle dichiarazioni da parte degli operatori, infatti, si riscontra un crescente divario tra le previsioni (di solito positive) da un lato, che sembrano assumere sempre più il valore della speranza, ed i consuntivi disincantati (di solito negativi) dall’altro, che non di rado portano il preciso sapore della delusione.

Anche facendo la tara della naturale ritrosia delle imprese ricettive italiane a dichiarare i risultati effettivi, non foss’altro per motivi fiscali, il fenomeno appare ormai diffuso e consolidato, quasi una “moda”, in senso sia statistico che di costume.

Ma se i dati sono veri, non falsati da retro-pensieri ed elusioni, da un lato, vi sono le prenotazioni, più o meno certe, dall’altro le aspettative. In mezzo, però, c’è una domanda turistica sempre più erratica:
  • che decide ormai “last-second” piuttosto che “last-minute”, seguendo elementi vieppiù imponderabili come il reddito effettivamente spendibile (in quel preciso momento, non in un anno o in una vita…), le suggestioni del momento, le previsioni meteorologiche;
  • che magari si concede una microvacanza imprevista alla stregua di un acquisto d’impulso, sulla base dell’umore del momento, come potrebbe comprare un mazzo di fiori o due biglietti per uno spettacolo;
  • che molto laicamente butta alle ortiche la consuetudine e dimentica la fidelizzazione, e magari “fa saltare” all’ultimo momento anche una vacanza già decisa, nel posto di sempre (“mi dispiace, ma sa…”).

La risultante netta, come ovvio enfatizzata da ogni possibile fattore contingente, rischia di essere quindi una scarsa programmabilità delle vendite, che richiederebbe, per poter essere contrastata, una capacità di gestione del marketing e della leva commerciale in tempo reale.

Una capacità, questa, del tutto assente nelle Istituzioni (cui il più delle volte non arriva alcun segnale credibile da parte delle imprese, e anche quando arriva non è detto che trovi immediata capacità di reazione e di azione efficace), e fortemente carente anche in molte categorie ed imprese del ricettivo; ma una capacità in mancanza della quale, almeno nel breve periodo, non c’è che da accettare passivamente anche risultati negativi.

La situazione è tale che fa tornare in mente la constatazione che si fa nelle prime lezioni di ogni corso sul turismo: in questo settore il “time to market” è drastico ed impietoso, e l’invenduto non si può “stoccare” in nessun magazzino, mentre quasi tutti i costi, la sera alle 22, sono ormai spesi, a fronte di un fatturato fermo e di una camera vuota.

3. Contemporaneamente, assumono un ruolo crescente i grandi portali di prenotazione, più o meno connessi con sistemi di dynamic packaging (magari a partire dai vettori arerei…). Ed si tratterebbe di una avanzata impetuosa, se si sta alle cifre fornite dai portali stessi, cifre che peraltro non appaiono del tutto attendibili né particolarmente suffragate da dati oggettivi.

Ma comunque di una avanzata tangibile si tratta, magari più contenuta in quota di mercato, stando alle dichiarazioni dei viaggiatori da un lato, e degli operatori del ricettivo dall’altro (si vedano sempre i dati ISNART).

Se però c’è un campanello d’allarme che l’annata 2009 fa scattare è proprio questo: l’affidarsi crescente della ricettività ai portali di prenotazione sembra infatti, più che non una scelta strategica governata, un ripiego subìto, dovuto alla crisi evidente del business travel, che porta:
  • la clientela, individuale o aziendale, a ricercare per ogni soluzione di viaggio la proposta più vantaggiosa, magari anche a costo di lunghe ricerche (il cui costo si reputa virtualmente nullo, ma come ben noto non lo è affatto…);
  • la ricettività in particolare alberghiera, urbana e metropolitana, a ricercare spasmodicamente il riempimento delle disponibilità, accondiscendendo appunto a tariffe e provvigioni praticate/imposte dai portali, che mai avrebbe riconosciuto all’intermediazione tradizionale.

I dati disponibili non consentono di entrare in analisi economico-finanziarie generalizzate, ma se ci si attiene all’Osservatorio AICA, sembrerebbe che le cose non vadano bene, e che la strada nuova non si presenti più redditizia di quella vecchia: forse non c’erano alternative in momenti di crisi, ma non si può proprio dire che nel 2009 la ricettività italiana abbia trovato la soluzione ideale, il mix economicamente più efficiente tra i diversi canali di mercato.


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